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“Capita a volte di sentirsi per un minuto felici. Non fatevi cogliere dal panico: è questione di un attimo poi passa.” scrisse il poeta Bufalino. E questo è quel che succede a Stefano (Riccardo De Fillippis), che in un giorno dei tanti, nella sua vita banale si trova a gestire un evento inspiegabile, a tratti surreale: trova, addirittura, parcheggio sotto casa. Si, proprio dal suo lato del marciapiede. Si, esattamente davanti al portone. Ed ecco allora scatenarsi esultanze le essealla Tardelli versione 1982 in faccia ad un’anziana passante, gli slanci emotivi con la moglie, la necessità di diventare padre. Stefano si sente realizzato, completo, immortale. Ma la gioia lascia immediatamente spazio alla disperazione: il giorno dopo è lì dietro l’angolo e bisogna ricominciare da capo. Ce la farà?

Alessio Lauria mette in piedi un corto ironico, sagace, divertente. “Sotto Casa” scorre via con facilità grazie alla sua musica sentimentale, gli slow motion, la recitazione impegnata degli attori; un’atmosfera carica di pathos che neanche Via col vento. Una piccola gemma il corto d’esordio di Lauria, che gli ha già fruttato alcuni premi ( fra i quali il Corto d’autore 2012).

Piace tutto di “Sotto Casa”. In cinque minuti attraversiamo con i protagonisti un  percorso emotivo ricco e variegato: il dubbio, l’euforia, la gioia, la depressione. Bella la scena finale, in stile spaghetti western, con il passante che si complimenta e il protagonista che gonfia il petto prima di lasciargli l’agognato parcheggio.

Cosa resta di un film del genere? Le espressioni di De Filippis, con quel faccione alla Spike Lee, l’immagine della sua Ford parcheggiata “sotto casa” e forse uno spunto, un’idea: la felicità sta nelle piccole cose. Concetto per nulla rivoluzionario ma che talvolta fa bene riprendere, come le foto sulla scrivania. Le conosciamo a memoria, ormai non le guardiamo più. Eppure a volte se le riprendiamo in mano scoviamo un particolare nuovo, un’espressione diversa.

Francesco

 

La donna forte intimorisce, lo sappiamo, è un dato di fatto. Ed è per questo che la definizione di “donna con le palle” è così amata dal pubblico androgino sostenitore della tesi secondo la quale, oltre alla costola, certi esserini dalla curve sinuose hanno avuto la pessima idea di rubar loro anche qualcos’ altro. Ma andiamo oltre. Lasciamo perdere le cadute nel femminismo facile. La donna forte intimorisce, è vero, ma già molto prima di Beatrix Kiddo era noto ai più che i biondi angeli vendicatori hanno sempre un certo fascino.

E’ il caso della giovane, ma vi assicuro spietatissima, Sarah Jane aka Mia Wasikowska (Alice in wonderland, I ragazzi stanno bene) protagonista di “I love Sarah Jane” (2008), uno dei primi lavori di Spencer Susser. Il regista americano, noto per aver debuttato sul grande schermo al Sundance film Festival con pellicola “Hesher” (2010, nel cast Natalie Portman e Joseph Gordon Levitt), ci offre in questo particolarissimo cortometraggio una visione differente della classica storia d’amore (non corrisposto) negli anni dell’adolescenza. La cornice non è la scuola media di provincia dove la ragazza avvenente e popolare frequenta, incurante dei piccoli ancora poco prestanti, il giocatore di football del liceo, bensì quella di una cittadina americana distrutta dall’invasione degli zombie.

A farci da cicerone in questa rassicurante atmosfera il piano sequenza che, dall’asfalto in su, osserva l’andamento stanco di un ragazzino in bicicletta. E’ pallido e porta sulla schiena una custodia con un arco e delle frecce. Raccolto l’amicone più grande (il classico aggressivo/disadattato dei suburbs americani) raggiunge la casa della bella Sarah Jane che però non vuole vedere nessuno, rimane chiusa in casa ad ascoltare i notiziari. All’esterno della casa il ribaltamento dei ruoli narrativi: due ragazzetti tengono prigioniero e torturano uno zombie e il già ciato amicone-misfit li aiuta di buon cuore.

Spencer Susser ottiene con questo corto un ottimo riscontro di pubblico e critica e vince anche diversi premi. Molte voci mormorano infatti che si stia ipotizzando un lungometraggio a partire dal corto stesso e i fan non sembrano aspettare altro. Il ritorno in auge del genere zombie (sempre più sdoganato dopo il successo di “The Walking dead”), acquista in questo caso un valore aggiunto, diventa uno strumento nelle mani del regista per raccontare il dolce sentimento di Jimbo, che ha perso i genitori e sta bene sono quando guarda Sarah Jane. Gli attori, giovani ma molto bravi, rendono credibile un contesto che lo è tutt’altro (la fotografia è curata ma gli effetti speciali sono ancora da affinare), come se gli zombie fossero una catastrofe come molte, un uragano Katrina o una terribile epidemia. Con il finale shock si giunge alla morale. Forse Sarah Jane ha imparato a convivere col male.

I Love Sarah Jane

Con il cortometraggio “I love Sarah Jane” (2008) l’americano Spencer Susser fa il suo esordio alla regia, vincendo fin da subito diversi premi ad alcuni festival cinematografici internazionali. In un mondo invaso dagli zombie, protagonista del film è il tredicenne Jimbo perdutamente (e segretamente) innamorato di una ragazza, Sarah Jane. È proprio la ‘purezza’ di questo sentimento che forse differenzia Jimbo da tutti gli altri personaggi della storia: ragazzino poco loquace, quando però cerca di consolare Sarah Jane, seduta su divano ascoltando vacuamente le notizie ‘apocalittiche’ che vanno in onda in tv, non è mai volgare nelle parole e nei modi facendo quasi tenerezza. Più che sugli zombie il regista sembra quindi che si voglia concentrare soprattutto sull’aspetto psicologico dei personaggi. Uno dei messaggi forti del corto è probabilmente quello riguardante il fatto che in un mondo fuori controllo ‘governato dalla violenza’ anche i ragazzi, che dovrebbero essere l’espressione dell’innocenza, diventano cinici e gli stessi co-autori di questa ferocia.

Spencer Susser non si esime poi da fare (chiari?) riferimenti ad altre storie post-apocalittiche, come ci suggerisce il nome della co-protagonista Sarah da rimando alla Sarah O’Connor della celebre saga di “Terminator”.

E da poi applaudire il trucco utilizzato per lo zombie del corto che risulta essere più che mai ‘vivo’ tanto da farci domandare “è uno zombie vero o finto?”.

Nota finale: con questo corto è probabilmente decollata la carriera dell’attrice Mia Wasikowska che due anni dopo, nel 2010, debutterà nell’atteso film “Alice in Wonderland” di Tim Burton.

Massimiliano Milic

“Voglio un bambino”. “E tutti quei discorsi, che non ne vale la pena di fare un figlio in un mondo così…”. “Forse mi sbagliavo”. Quando succede qualcosa di davvero straordinario, insolito, che mai un uomo si sarebbe aspettato, sembra che anche i desideri cui ha sempre rinunciato possano avverarsi. Sotto casa, cortometraggio vincitore meritevole della sezione Talenti in corto del premio Solinas, racconta proprio questo: il momento in cui un uomo prende una decisione che può cambiargli un’altra volta la vita a seguito di un evento che gliel’ ha appena cambiata una prima volta, seppur solo per una notte.

L’evento centrale divide in due parti il cortometraggio, che dura complessivamente 5 minuti. Nella prima, la narrazione e la forma sono legate per raggiungere obiettivi comuni: generare curiosità e un filo teso di suspense. Il tragitto in macchina del protagonista e le soggettive dei suoi occhi, che non sanno bene dove guardare, stimolano la curiosità attraverso una delle tecniche più semplici ma più efficaci: la soggettiva, appunto, che restituisce l’espressione dei suoi occhi sgranati, quasi colti da una rivelazione mistica quando l’oggetto del suo desiderio è stato identificato, guardato e riguardato, per assicurarsi che non sia solo un miraggio. La seconda parte, invece, è dedicata alla celebrazione del lieto evento che l’uomo e sua moglie, appena arrivata, sanno che mai più potrà ripetersi nella loro vita.

Sotto casa è un cortometraggio ironico, che mette in scena e prende in giro una delle ossessioni più ricorrenti dell’automobilista che abita in una grande città. Trattenersi dal ridere e non simpatizzare con il protagonista è difficile perchè ognuno di noi si sarà trovato almeno una volta nelle sue condizioni tragicomiche, e avrà pensato di fare esattamente le stesse cose che fa lui. Magari senza desiderare un bambino per la felicità… o forse si.

Paolo Ottomano

NEBBIA.

Un bambino (Jimbo)  su una bicicletta, armato di arco e frecce, avanza in uno scenario da guerra, con armi decisamente fuori moda.Sul manubrio della bici c’è attaccata la foto di una ragazza; quella è la sua direzione.

Non c’è pace per i dannati in un mondo in piena emergenza sanitaria  ( il contagio trasforma gli uomini in Zombie ), dove gli unici superstiti sembrano essere un gruppo di tre ragazzi, poco più che bambini, che si divertono a (non)ammazzare un non-morto. Guardando i sadici e cruenti ragazzi, turpe il loro linguaggio e turpi le loro azioni, si può quasi provare pena per lo Zombie incatenato  e seviziato nel cortile. Ma tutto questo a Jimbo non interessa, a lui interessa Sarah Jane.

Nel cortile degli orrori, quello che sembra essere un gioco- o un videogioco (?) – si rivela in realtà una tragica pratica di eutanasia, o almeno così dice un ragazzo, brandendo una sega elettrica. E poi, come un “Deus ex machina”, arriva Sarah Jane, capelli lunghi al vento, piedi scalzi e shorts: vendicatrice ed angelo della morte. Colpi di badile ripetuti al ragazzo con la motosega, che si sta trasformando in Zombie, ed un solo, secco, micidiale colpo nel cranio dello zombie; “You out of your fucking misery yet?”(è già finito il tuo cazzo di tormento?)-dice la ragazza, cinica e beffarda. Ti amiamo anche noi, Sarah Jane.

“I love you Sarah Jane “è un cortometraggio horror, ma al contempo non lo è affatto. Si sente parlare alla tv di attacchi degli zombie, ma noi ne vediamo solo uno e perlopiù incatenato. Il vero orrore è la violenza, il gusto nell’esercitare la violenza e l’indifferenza nel guardare la violenza. Sembra tutto essere una grande partita di un videogioco, nemmeno tra i più originali.

Questo è un cortometraggio d’amore vestito da splatter; un amore che va oltre la devastazione, la paura, la morte: l’amore platonico di jimbo per Sarah Jane. Il sorriso del ragazzo alla fine ci ripaga di tutto quel sangue e viscere e urli mostruosi.

Lieto, lietissimo fine..                                                                                                                                                                                                  Anche se forse non vissero tutti felici e contenti.

Chiara Di Sante

“scusi, va via?”

Trovare parcheggio sotto casa è difficile. Spesso impossibile. Più o meno come trovare un equilibrio nella vita.

Antonio Lauria costruisce un cortometraggio prendendo spunto proprio da questo miracolo urbano. Idea brillante, geniale. Per il protagonista della pellicola è un sogno, un desiderio che si avvera. Tanto incredibile quanto elettrizzante, una dose di autostima che lo convince, momentaneamente, che tutto sia possibile. Che forse il mondo non è così orribile come sembra. Che forse si può fare un passo importante.

Punto di forza del cortometraggio è sicuramente la semplicità. Disarmante e inaspettata. Lauria trasforma abilmente un piccolo elemento della quotidianità cittadina (trovare parcheggio sotto casa appunto) in una metafora di vita tutt’altro che banale e aperta a mille possibili interpretazioni. La felicità e la gioia di un momento che, a volte, ci portano a prendere decisioni molto importanti, che prima non avevamo nemmeno considerato.

Il cast combacia perfettamente con la storia che si va a raccontare: pochi personaggi significativi e, a loro modo, indispensabili.

Trasfigurare il “parcheggio sotto casa” in un evento stupefacente e incredibile si rivela un idea brillante a cui, ammettiamolo, pochi avrebbero pensato. Proprio da questo elemento il cortometraggio trae la sua vena comico/assurda che non può non far sorridere – il protagonista che guarda trasognato la macchina dal balcone a notte fonda, gli anziani genitori che impazziscono dalla gioia e dopo aver saputo l’ “incredibile” notizia.

Infine, la figura dell’automobilista che passa e chiede “scusi, va via?”, sperando ardentemente di guadagnare il posto, simboleggia la fragilità di questi momenti di felicità, di equilibrio. La scena finale si trasforma in un crudo ritorno alla realtà (il momento in cui si deve necessariamente spostare la macchina per andare a lavoro) con cui Lauria ci dimostra come, purtroppo, molti momenti felici spesso sono destinati a concludersi. E quindi non ci resta che sperare nel prossimo momento di gioia.  O in un posto sotto casa.

Michele Puleio

Bambini traumatizzati cresciuti prematuramente si aggirano in un’Australia post-apocalittica invasa dal solito virus letale che trasforma (o riporta indietro?) gli esseri umani al loro stadio zero: belve assetate di cibo, sesso e sangue incapaci di riconoscere nell’Altro il loro simile, l’Essere Umano con il suo diritto prima ad essere visto come tale, e non come oggetto.
In pochi minuti di cortometraggio il (melo?)dramma di questi piccoli orfani che adornano il manubrio della loro bicicletta con la foto di una donna amata forse solo nei loro sogni, piccoli epigoni di assi dell’aviazione nella seconda guerra mondiale con l’immagine sbiadita della moglie lontana attaccata alla buona sul cruscotto della loro macchina di morte, cede il posto all’unica risposta sensata che si può dare a chi ha ormai perso il lume di ogni etica e morale (a tal punto che alla fine viene da chiedersi se sono più disumani gli “zombie” oppure i vivi (?) rimasti): il cinismo e l’humour più neri possibili. Non avere più pietà, rispetto e compassione per ricordare quanto era bello quando (appunto, quando?) eravamo in grado di provarli davvero.

Questo secondo di lavoro di Spencer Susser dimostra, caso mai ce ne fosse bisogno, la perfetta padronanza dei mezzi tecnici che il giovane regista americano (ma che strizza l’occhio all’Australia, in quanto unico membro statunitense del collettivo Blue-Tongue Films) sa applicare ad una storia che non ha in fondo nulla di nuovo: lunghi ed esplicativi piani-sequenza e cronometrico utilizzo del montaggio alternato.

Il film si va ad inserire in un filone contemporaneo che da un po’ (troppo) tempo ci mostra società in cui ormai gli adulti-zombie hanno ucciso ogni speranza per le nuove generazioni che, cannibalizzate, intontite e senza più alcuna guida, sono costrette a cavarsela da sole, abbandonate ormai anche dai pochi “adulti” rimasti vivi, che non parlano che dallo schermo di un televisore, lontani ed assenti, e ribadiscono un concetto-chiave: “Vedetevela da soli!”

Insomma: il passato è tragico, il presente è problematico ma almeno grazie al cielo ci avete tolto il futuro.

VOTO 3.5/5

I Love Sarah Jane

Un equilibrio tra amore e brutalità:

I Love Sarah Jane è questo. Una storia d’amore adolescenziale ambientata in un mondo post-apocalittico infestato da zombies. Ancora con questi Zombies? basta!!! In questi ultimi anni sembra che la presenza di una bella gnocca e qualche non-morto siano gli unici sistemi per sbancare il box office. Se poi aggiungiamo il ragazzo “sfigato” di turno che si innamora della ragazza per lui inarrivabile abbiamo il quadro completo della situazione. Girato da Spencer Susser nel 2008 e basato su una sceneggiatura scritta con la collaborazione di David Michod, questo cortometraggio Australiano ha convinto parte della critica vincendo il premio Prix Canal + al festival francese Clermont-Ferrand.

Jimbo, ragazzo orfano dei suoi genitori, probabilmente divorati da qualche essere che popola la sua città, percorre una strada con la bicicletta non curante dei cadaveri e macerie attorno a lui. Arco, frecce e tanto coraggio per poter raggiungere l’unica persona che potrebbe donare nuovamente luce alla sua vita: “Sarah Jane”.
Mentre la popolazione lotta per sopravvivere, un gruppo di ragazzi trascorre il tempo presso l’abitazione di Sarah Jane massacrando un non-morto con tutti i mezzi a loro disposizione, quale arma migliore se non il buon vecchio decespugliatore, oggetto tanto caro al giovane Lionel nel famoso film splatter di Peter Jackson: “splatters gli schizzarcervelli”. In questo scenario cupo e violento, dove anche il ragazzo più giovane lotta per restare in vita non sembra esserci spazio per i buoni sentimenti. Chissà, forse l’atteggiamento spavaldo è dovuto dal fatto che cercano di dimostrare a loro stessi che sono capaci di resistere alle atrocità di questo nuovo mondo.
Jimbo si discosta dai modi di fare dei suoi presunti amici e quando puo corre dalla sua amata Sarah, per trovare in lei una sorta di conforto e appoggio morale. Sarah è una ragazza che si dimostra matura, una fiera leader che non si pone problemi nello sviscerare uno dei suoi amici trasformatosi in zombi.

Susser descrive i personaggi piuttosto accuratamente, i ragazzi dettano le regole in questo scenario e i loro pensieri oscillano tra il bullismo e la paura. In questo cast di ottima fattura spicca il nome di Mia Wasikowska, ragazza prodigio celebre per Alice in Wonderland, che qui interpreta Sarah.
L’ambientazione trasmette il giusto clima di angoscia e desolazione, la nebbia sembra quella del miglior Silent Hill e ci cala nei panni dei ragazzi costretti a vivere un incubo più grande di loro. Da segnalare anche la buona fotografia e gli effetti speciali, nonché la colonna sonora realizzata da Michael Lira, apprezzato anche nell’ultimo film di Susser: “Hesser è stato qui”.
I dialoghi eccessivamente scurrili, seppur adattandosi alla rappresentazione, alla lunga risultano fastidiosi.

Con i numerosi prodotti presenti nel panorama ludico che sfruttano il mondo degli zombies, il lavoro diretto da Susser prova a differenziarsi dai tanti miscelando il genere drammatico con quello horror e presenta allo spettatore un mondo ormai in rovina vissuto da questi giovani ragazzi che in preda al panico tentano di farsi strada con l’uso della forza. Toccante la scena finale che  mostra un segno di speranza e felicità in questo mondo invaso dalla tristezza; ma mi chiedo io: che ci stanno a fare tanti sentimentalismi antitetici in questo ambiente fatto di corpi spezzati in due e sangue a go-go? Nulla!

Sandro Aru

Ricordo le mie impressioni di quando ho visto per la prima volta questo cortometraggio linkato via ilpost su vari social network e accompagnato, come raramente accade su queste piattaforme, da parole tipo oh looool guardate HAHAHA mega divertente blabla mille punti esclamativi. Il che di solito preannuncia: video di gatti/epic fail compilation/maccio capatonda/video con bestemmie/quello che fa gli scherzi telefonici su youtube con gli acccenti/il culo di sara tommasi o sa dio cosa; insomma di solito un video che nel migliore dei casi ho gia’ visto e che nei restanti casi non guardero’ mai per piu’ di 5 secondi. Ecco perche’ vedendo la qualita’ video da iphone e la faccia di Riccardo de Filippislo Scrocchiazeppi di Romanzo Criminale-per chi conosce la serie che urla perche’ ha trovato posteggio sotto casa ero gia’ li’ per skippare la solita cosa che guarda no grazie.

Ho pero’ deciso di proseguire oltre i primi 2 minuti e poco dopo ho capito il mio errore iniziale. La disturbante aura di mediocrita’ del protagonista e la qualita’ video fai-da-te fatta di pochi euro e pochi pixel, non devono trarre in inganno ma anzi finiscono per valorizzare la sceneggiatura e far funzionare il film. E il film e’ bello sul serio perche’ non solo riesce a essere divertente, che non e’ poco, ma pone anche degli interessanti spunti di riflessione. In un corto semi-amatoriale italiano di 5 minuti e’ trovare Gesu’ Cristo su un calzino steso ad asciugare (o un parcheggio sotto casa).

Gesu’ Cristo appare su un calzino

Il film infatti, non solo fa ridere ma dietro le apparenze porta avanti una critica sociale a piu’ livelli.  Da un punto di vista ironizza sulla ridicola ossessione degli italiani per l’automobile a tutti i costi. Da un’ altra prospettiva denuncia la semi impossibilita’ di trovare un parcheggio nelle citta’ italiane abitate, che a Milano o Roma puo’ facilmente portare all’esaurimento nervoso. Ma il sottotesto piu’ interessante che si trova nel film e’ la tragedia dell’odierna mediocrita’, della  frustrazione, della routine, dello stato vegetativo in cui il protagonista come milioni di persone vive la propria vita ogni giorno (rappresentata dall’automobile). Una miseria generale a cui contribuiscono i mediocri (e per questo perfetti) aspetti formali del film. La tragedia del film non e’ che manchino i posteggi, o che guarda come siamo pigri in Italia ha-ha, ma e’ proprio il vuoto esistenziale che fa considerare un’inutile banalita’ (in questo caso il comico “parcheggio sotto casa” ma che potrebbe essere ad esempio l’esito di una partita di calcio) come il miracolo che ti cambia la vita. Che poi non cambia niente. Il protagonista infatti, che vive circondato da automobilisti uguali a lui, non ha alcuna possibilita’ di salvezza: alla fine non potra’ far altro che tornare alla sua routine fatta di semafori, code e giri per trovare parcheggio a cui magari si aggiungeranno i pannolini da cambiare.

Facendo propria la lezione di Calvino, il regista Alessio Lauria combina comico e tragico per realizzare dal nulla un piccolo capolavoro che va oltre la semplice trovata. Se si puo’ imparare qualcosa da questo film pero’, e’ che conviene prendere la bicicletta.

edoardo francia

Di fronte a questo Corto, finalmente si getta luce su una ambiguità delle agenzie immobiliari: una casa “con posto auto” costa più di una casa senza la suddetta scritta. Quindi il regista insegna che non si compra casa almeno finchè non si hanno ideate strategia e tattica del parcheggio. Probabilmente gli abitanti di Milano, Roma, Napoli, ma anche le località topiche della Riviera Romagnola d’estate simpatizzano con il tema di questo corto – sapendo bene che la Legge di Murphy puntualmente impedisce loro di trovare una ubicazione soddisfacente per la loro vettura almeno 5 giorni su 7. Infatti “Sotto Casa” altro non è che la celebrazione di un momento raro per la famiglia in questione: l’aver trovato posteggio non solo sotto casa, ma addirittura davanti al portone d’ingresso!

 

Si parte con lo sguardo disperato  e disilluso del protagonista, che evidentemente sta tornando a casa ed è alla ricerca del posto auto. Ma la legge di Murphy pende evidentemente come la Spada di Damocle sulla sua testa poiché, pur avendo visto un posto libero, non ci crede: la forza dell’abitudine prevale. Ma la speranza non muore mai, quindi il protagonista – incredulo – indietreggia e con cautela si inserisce nel posteggio, liberando un grido di gioia. E’ una sua vendetta personale contro un destino fatale che sembra deturparlo di un diritto sacrosanto per chi, come lui, ha acquistato la sua casa con posto auto annesso. Le scene sono prive di una qualsiasi colonna sonora e questo attribuisce più enfasi al fatto in sè. In più le inquadrature in primo piano ed a mezza figura esprimono meglio il punto di vista del protagonista.

Poi, con la fierezza del cacciatore che porta a casa la preda e la illustra alla compagna, il protagonista prima chiama la moglie e poi si fa trovare nella posizione più virile per  enfatizzare l’evento. Si, anche lui, nel suo piccolo, sa fare qualcosa di buono. E la moglie? Naturalmente è compartecipe della soddisfazione del marito.

Ma non basta parcheggiare d’innanzi al portone: il protagonista vuole strafare. Potrebbe essere il momento adatto per cavalcare l’onda della buona sorte e tentare la paternità! Qui il regista crea una biforcazione: il protagonista mette in discussione le sue credenze sulla base di un fatto isolato quanto speciale…un caso, forse! Questo può mostrare lo stato di estrema rassegnazione in cui giace la coppia. Ma potrebbe anche essere un inno alle piccole vittorie quotidiane.

Non lo sappiamo per certo, ma certamente la coppia ha goduto di questo  momento.

Ilaria Triveri